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Finalmente domenica! _ Il capotreno e l’interruttore

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Ultima giornata, 19 maggio 2013

dal diario di Francesco Savio

Fernando Pessoa legge con attenzione le parole di Francesco Savio.

Mentre uno stratosferico arbitro Bergoglio (abbiamo modificato il nome per proteggerne la privacy) portava il Milan ai preliminari di Champions League al posto della Fiorentina che l’aveva meritato sul campo, abbassavo il volume del telecronista che cercava imbarazzato scuse all’evidenza di un furto del valore di diversi milioni di euro e riprendevo tra le mani Bernardo Soares che tenevo disteso al mio fianco, non lui ma il suo libro con Fernando Pessoa in copertina che mi guardava serio, assente e preoccupato come a dire ma che fai, stai ancora a perdere tempo con il calcio italiano?

Hai ragione Fernando, ma giunto al termine della mia consueta maratona fine-settimanale padre-figlio la cosa più intellettuale che riesco a fare è sedermi sul divano e guardare l’ultima giornata di Serie A, che porta sempre con sé un sottile velo di malinconia o come diresti probabilmente tu, di Desassossego. Osservo i goal, le azioni e le emozioni delle diverse partite e non penso a nient’altro, più o meno, mentre tanti veri scrittori non stanno mica a guardare la televisione sportiva come me ma stanno tornando da Torino oppure cenando a Torino perché a Torino, si conclude il Salone del Libro. Merende con gli autori caffè con gli editori, aperitivi con gli editor amari con i traduttori, che poi una spremuta con Marco di Einaudi o Alessandro di Minimum Fax me la sarei bevuta volentieri, ma ho un po’ di mal di schiena perché ho portato in groppa Pietro addormentato da piazza Duomo a casa mia, cinque o sei chilometri dovrebbero essere, ma si era appisolato dopo un giro in libreria e allora ho pensato niente tram, facciamo due passi lungo le vie nascoste di Milano che dici Pietro? Dormi, silenzio/assenso quindi via, la Borsa il dito di Cattelan, via dei Morigi poi diritto in fondo cos’è quella bellezza? Ah sì la schiena della basilica di S. Ambrogio, illuminata al sole, il monumento ai Caduti via San Vittore, piazzale Baracca i parchi ecc., Ippolito Nievo.

Insomma per una volta non vorrei essere altrove rispetto al posto dove sono, rileggevo dieci anni fa Il libro dell’inquietudine a Sirmione sul Garda seduto su una panchina sopra un pendio, sotto c’era il lago a sinistra le Grotte di Catullo, sottolineavo in matita ciò che mi ero scordato durante la prima lettura, e alla fine con quella enfasi tipica della giovinezza scrivevo sulla prima pagina bianca del volume: “La mia bibbia”, sottolineato pure quello. Adesso invece mi guardi Fernando e io penso all’arbitro Bergoglio (il nome è di fantasia), a fine carriera mi auguro gli sia riservato almeno il ruolo di moviolista a Mediaset Premium, dove siamo capitati altro che inquietudine, eteronimi o semieteronimi va che non mi freghi lo so che sei sempre tu, Bernardo Soares aveva ammobiliato le sue stanze prestando particolare attenzione alle poltrone (con braccioli, profonde, morbide) per “conservare intatta la dignità del tedio”, un po’ di mal di schiena è il conto da pagare alla faticosa, sublime gioia di essere padre, insieme alla pazienza che non deve finire mai, alla stazione ferroviaria di Firenze in serata la tensione è esplosa hanno aggredito i giocatori del Milan, il capotreno ha fischiato e tutti hanno pensato a un altro calcio di rigore per Balotelli.

 

dal diario di Antonio Gurrado

Indovinate di che Santo si tratta.

Alla fine l’ultima giornata di campionato era importante quando facevo le elementari, le medie o il liceo, ossia quando era un trampolino verso un’estate pressoché immediata e segnava non tanto il momento dello stacco (seguivano, all’epoca, le ultime interrogazioni o gli esami) quanto la dimostrazione pratica delle promesse del futuro: le ultime partite venivano giocate con un’aura da ultimo giorno di scuola, talune con disimpegno talaltre con il la disperazione di chi non s’è impegnato prima, sotto il sole rilassato delle sedici e trenta; fra sussulti e sbadigli si iniziava a progettare la stagione che veniva, coi primi nuovi acquisti, le qualificazioni alle coppe europee, le promozioni, le retrocessioni, di modo tale che al futuro incasellamento delle squadre corrispondesse un rinnovato incasellamento della vita propria, un altro morso alla febbre di crescita che io e i miei coetanei pensavamo ci avrebbe portati chissà dove.

Ci ha portati qui, eccoci. Ora il campionato finisce ma noi no, la vita e i pensieri continuano uniformi fino ad agosto e anche quando siamo in vacanza non smettiamo di pensarci se non per finta, di tanto in tanto, sapendo che settembre è sempre dietro l’angolo e che fra un bel po’, ma non si sa quanto esattamente, ogni settembre potrebbe rivelarsi l’ultimo. Per questo inizio a confondere le stagioni una con l’altra, non ricordo quanti scudetti di fila abbia vinto la Juventus o chi si fosse qualificato per l’Europa League due anni fa (a bruciapelo non se lo ricorda nessuno, temo, nemmeno l’estensore dell’Almanacco Panini) e questo vale anche per i Giri d’Italia, i playoff di basket, gli Internazionali di racchettoni a Roma: un tempo ogni maggio segnava un salto mentre adesso qualsiasi maggio niente segna se non la prosecuzione della ruota. Per me da qualche anno segna tutt’al più l’inizio della stagione delle migrazioni, visto che inizia la tournée per conferenze e sfogliando l’agendina scopro con orrore che nel giro di in fin dei conti pochi giorni oltre che in Lombardia devo essere in Toscana, in Inghilterra e in Francia senza per questo essere dotato del dono dell’ubiquità come San Francesco.

O era Sant’Antonio? Mi è venuto il dubbio ieri sera, guardando La lingua del Santo di Carlo Mazzacurati, sin dai titoli di testa in cui i nomi degli attori scorrevano su “Guantanamera” in sottofondo. Ecco, ora la distinzione del maggio è che di qui in poi la sera, quando non ho niente da fare, dopo cena faccio due passi per il centro di Pavia con la scusa che devo tenere d’occhio la pressione (con la minima che avevo a Oxford potevano usarmi per gonfiare le ruote delle biciclette) e poi torno a casa e mi stravacco sul divano a vedere un film perché di primavera ho bisogno di dormire meno ore che d’inverno; ma questa è una distinzione di massima visto che, facendo una cura per potenziare le difese immunitarie da ottobre ad aprile, da un paio d’anni inevitabilmente mi raffreddo con ammirevole regolarità a settembre e a maggio così che riuscire a compiere la passeggiata serotina durante la mezza stagione diventa già grasso che cola.

“Guantanamera” ritorna anche alla fine del film, montata stavolta su immagini di repertorio che mostrano la traslazione anzi la restituzione della reliquia del Santo alla Basilica dopo il furto anzi il rapimento operato nel 1991, che riguardò in realtà il mento e non la lingua, e su questa musica essendosi fatta mezzanotte mi sono svestito preparandomi ad andare a letto. Ho dato un’occhiata alla fascetta riassuntiva del romanzo che avrei letto l’indomani, ho sfogliato le pagine inutili del Guerin Sportivo (quelle cioè che parlano del calcio italiano odierno, in particolare le interviste ai calciatori, che sono simili ai tornei di calcio fra intellettuali) poi, mentre recitavo compieta, da un’altra camera del collegio ho sentito distintamente arrivare le sillabe scandite di un’altra versione di “Guantanamera” che rispondeva alla mia e allora, clic, ho spento la luce.

 

[Come il campionato, "Finalmente domenica!" finisce qua.]


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